Due miliardi e mezzo di individui dimenticati #Milapersiste, il blog

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di Redazione #MilaPersiste twitter@milapersiste #blog

 

 

Degli indigeni si parla pochissimo. Se ne occupa la stampa alternativa e se ne occupano Fondazioni e ONG, attente ai diritti umani ma soprattutto attentissime a far da filtro tra i movimenti di resistenza, i governi e la finanza globale, che può essere criticata ma non deve essere mai contrastata: non si esce dal seminato, il compito di queste sentinelle gentili è quello di assimilare il nocciolo duro delle proteste e di scongiurare rivoluzioni, per quanto circoscritte.

Gli indigeni sono due miliardi e mezzo di individui che non si possono inglobare, che non hanno proprietà o conti in banca, che sono illeggibili, fuori sistema, quindi diversi e per questo non legittimi. Quasi tutte le Costituzioni rispettano la preesistenza etnica di questi popoli e garantiscono loro sia il riconoscimento giuridico, sia la regolare occupazione di territori nei quali hanno sempre vissuto per tradizione. Eppure essi vengono sistematicamente scacciati dalle loro terre e depredati di ogni diritto e quando tentano di resistere li si colpisce con la repressione e la violenza, gli omicidi, le colonizzazioni, l’arresto, gli eserciti. Questo accanimento serve a favorire gli investimenti delle multinazionali.

Gli indigeni sono l’ultima testimonianza della differenza: hanno un rapporto con la terra che non è basato sul profitto ma sul rispetto, sono gli ultimi uomini e le ultime donne che ancora difendono biodiversità, culture e tradizioni millenarie e si oppongono a un sistema che concentra le ricchezze nelle mani di pochi, quei pochi che in un tempo storico relativamente breve hanno coinvolto le istituzioni, la magistratura, la stampa, deformando le democrazie, stabilendo il primato della finanza sulla politica, privatizzando territori, montagne, mari, fiumi e foreste nel nome del progresso. La corsa al possesso della terra per lo sfruttamento intensivo delle risorse non è certo cominciata ieri, ma con la globalizzazione è diventata sfrenata. Gli indigeni del Brasile, del Perù, dell’Argentina, della Norvegia, della Svezia, della Finlandia, della Russia, dello Sri Lanka, dell’India, dell’Australia, dell’Honduras, del Mozambico, dell’Africa subiscono nell’indifferenza generale la medesima sorte: l’etnocidio sistematico.

I Mapuche sono un popolo indigeno che vive tra la Patagonia e il Cile. Avendo migliaia e migliaia di anni di storia alle spalle, essi sono preesistenti alla formazione degli Stati-nazione. I Mapuche (letteralmente popolo della terra) hanno abitato da sempre la terra che poi è diventata l’Argentina, e solo dopo la creazione degli Stati si sono insediati anche in Cile. Considerarli – come accade oggi – araucani cileni è errato e pretestuoso: essi non sono cileni e non sono neppure argentini, sono e saranno sempre indigeni Mapuche. La repressione non ha impedito loro di moltiplicarsi e di resistere. In Cile e in Argentina (e dove non è così?) i governi sono stati sempre a favore del modello estrattivo di petrolio e minerali, dell’agricoltura intensiva con l’uso di transgenici e pesticidi tossici e della deforestazione, ragion per cui nel tempo leggi e privatizzazioni hanno causato un aumento di progetti minerari e petroliferi e di espropriazioni di terre con azioni violente.

Quando la famiglia Benetton ha acquistato tra il 1991 e il 1997 vaste porzioni di territori in Patagonia, lo Stato argentino – che aveva iniziato nel diciannovesimo secolo a praticare il genocidio dei nativi per vendere agli inglesi – elargiva le infinite risorse della Patagonia a molti ricchissimi stranieri. Qualche nome: Joe Lewis, l’imprenditore americano Douglas Tompkins, il belga Huber Grosse, i proprietari della Nestlé, Ted Turner (CNN), l’immancabile George Soros, il magnate americano delle patate fritte Ward Lay, gli attori Robert Duvall, Richard Gere, Matt Damon, Silvester Stallone, nonché i grandi gruppi vinicoli italiani, francesi e spagnoli che hanno scelto la Patagonia perché un ettaro costa dieci volte meno che altrove e il clima è perfetto per le uve. A partire dagli anni 2000, con la svalutazione della moneta, il valore di un ettaro è diventato quello di un hamburger. La famiglia Benetton spicca sugli altri perché possiede ben 900mila ettari.

I Mapuche non hanno mai accettato di andar via dalle terre comperate dai Benetton. Nel 2007 si parlò molto di loro perché riuscirono a rientrare in possesso di circa 600 ettari. Naturalmente vi fu un contenzioso, due attivisti Mapuche si recarono in compagnia del premio Nobel per la pace Esquivel a Roma per un incontro con il gruppo Benetton, che offrì donazioni di appezzamenti altrove. I mapuche rifiutarono: dissero che gli appezzamenti erano improduttivi e soprattutto non accettarono che si parlasse di donazioni. Le terre dovevano essere restituite ai legittimi proprietari, non regalate a titolo di risarcimento. Il gruppo Benetton ha pagato per acquisire quei 900mila ettari, ma i Mapuche hanno sempre sostenuto che l’acquisto presentasse diverse irregolarità. Va sottolineato quanto è stato messo nero su bianco: gli indigeni hanno il diritto di essere coinvolti nelle trattative in caso di cessioni di territori. Non solo: una legge del 1993 stabilisce per loro indennizzi e restituzione delle terre usurpate. Inutile dire che ciò non è mai avvenuto. Il nostro modo di pensare è ormai talmente distorto che quasi non ci pare logico e possibile attribuire un ruolo paritario a queste persone in contesti d’affari, burocrazia, eminenze private e denaro.

L’incontro a Roma non sortì alcun risultato, i Mapuche non abbandonarono i 600 ettari occupati e da allora i Benetton sono in perenne contrasto con gli indigeni. Naturalmente si servono di squadre di legali, nonché della compiacenza del governo per sgomberare le terre occupate. Sono incessanti le campagne mediatiche per screditare i Mapuche, definiti delinquenti o terroristi in combutta con ETA, FARC, gruppi anarchici e curdi. Papa Francesco ha incontrato i Mapuche nel febbraio 2018 all’aerodromo di Temuco, luogo che durante la dittatura di Pinochet era il campo di concentramento in cui gli indigeni venivano detenuti, torturati e uccisi. Bergoglio ha assunto una posizione dura contro le discriminazioni e ha auspicato il rispetto degli accordi, scritti con la mano e poi cancellati col gomito. Ha chiesto ai Mapuche di non cedere all’uso della violenza per difendersi. Certo: in questo modo le parti in conflitto – una fortissima e l’altra debolissima e genuina – vengono messe sullo stesso piano, nel senso che secondo la morale vigente sbagliano entrambe. Quando a usare la violenza non sono i potenti, è terrorismo.

 




 

(20 agosto 2018)

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